Caduti per il fuoco amico

Quelle alcune volte che mi è capitato di entrare in una classe della mia scuola, per comunicare che un loro compagno era grave per un incidente, ho fatto sempre riferimento al numero di vite che si hanno nei video games. Se nel gioco si può ricominciare innumerevoli volte, nella realtà, di vita ne abbiamo una sola. È proprio questo che dà ad essa un valore unico. Ma, per i ragazzi, l’avere tutta la vita davanti, fa dimenticare che per qualcuno dei loro coetanei la clessidra sta già terminando gli ultimi granelli di sabbia.

Non c’è giorno in cui non ci sia un giovane che “cade” sulle strade, nell’ambiente di lavoro – magari durante uno stage scolastico – o vittima della subdola violenza che viaggia via social. Tutto questo mi fa riflettere su quello che in altri ambienti viene chiamato “fuoco amico”. Mi spiego.

Credo che a nessuno venga in mente di eliminare dalla portata dei nostri ragazzi biciclette o motorini in virtù delle morti sulla strada. E non penso che per lo stesso motivo si possa togliere l’uso di internet o del cellulare per le vittime di cyberbullismo. Per lo stesso motivo non credo che si possa eliminare quel prezioso strumento che, in particolare per le scuole professionali come la mia, è l’esperienza di introduzione al mondo del lavoro comunemente chiamata “stage” o alternanza scuola lavoro.

Tuttavia è indubbio che questi strumenti “amici” siano da maneggiare con cura. Proprio qui, si pone il prezioso ruolo di noi adulti. Non tanto nel crocifiggere gli strumenti “portatori di morte” per poi lasciare tutto come prima, quanto nell’assumerci la responsabilità di far conoscere, accompagnare e vigilare su ciò che apre al mondo, alla vita, all’autonomia.

A volte ci illudiamo che dentro le mura di casa (tutto da dimostrare) vi sia il massimo della sicurezza. E non facciamo caso che ciascuno di noi, come ogni pulcino, è divenuto grande rompendo il guscio che madre natura ha posto a difesa della prima stagione della vita. Ebbene, per noi che siamo chiamati ad accompagnare i “pulcini” oltre il guscio, non possiamo immaginare di aprire la strada togliendo di mezzo i rischi che vi sono in quel oltre. Dall’accendere il primo fiammifero, al tagliare la prima fetta di torta, non c’è strumento che non porti in sé un rischio.

Forse sarò di parte, ma credo che tra tutti gli strumenti per far dei nostri figli e delle nostre figlie gli uomini e le donne di domani, il lavoro è uno dei più preziosi banchi di prova. Lì, dopo i banchi di scuola, si impara la vita. Lì trascorreranno, se sono fortunati, i migliori anni della loro vita, grazie anche alle ore passate al lavoro, potranno guardare a se stessi e al frutto delle loro mani e del loro ingegno con stima e fierezza. Grazie a quello che hanno imparato, anche alla scuola del lavoro, potranno capire il valore della fatica, dell’esperienza dei più anziani, dell’arte delle mani e non solo dei computer.

Forse, fuori dalla covata (la casa, la scuola) il mondo può apparire un campo minato e purtroppo ci sarà chi può cadere per il “fuoco amico”. Ma non è solo così. Il mondo di fuori, il mondo reale, quello fatto di amici, di fatica e responsabilità è quello che i nostri padri ci hanno preparato e lasciato. Esso è bello. È costato fatica e sudore e ci chiede di fare la nostra parte per renderlo ancora più bello, più sicuro e ospitale.

 

IL DIRETTORE

don Paolo Magoga

Direttore del Centro Chiavacci, presidente della Fondazione Opera Monte Grappa e Direttore dell’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Treviso.

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